Ve lo dico dall’inizio, così che mettiamo da subito
in chiaro il nocciolo della questione e ci evitiamo spiacevoli sorprese da
mancanza di lieto fine; il futuro della medicina e della chirurgia nel nostro
paese, per come stanno le cose oggi, non è dei più rosei, anzi. Sta per
chiudersi un ciclo, sta per tramontare una generazione di scienziati, di
medici, di chirurghi, di universitari che, fatta qualche rara eccezione, hanno
preso tanto dai maestri del passato ma, ahimè, non hanno lasciato nulla ai
posteri, non sono riusciti a trasmettere (o non hanno voluto) l’arte della loro
disciplina.I neolaureati e i neospecialisti hanno osservato
questa lenta decadenza per diversi anni, hanno assistito allo sfascio,
all’involuzione della pratica medica, la progressiva perdita delle risorse che
hanno fatto grande il nostro paese negli anni passati.Da qualche anno tuttavia qualcosa sta cambiando, ma
nel verso sbagliato. Quei neolaureati e neospecialisti stanno perdendo fiducia
nel modello italiano e, come dargli torto, stanno emigrando.
Basta fare un giro nei più comuni social network
per imbattersi in gruppo come “Doctors in fuga” con oltre 2800 iscritti, o
“medici italiani nel mondo” con più di 1100 iscritti, e la stragrande
maggioranza di giovane età.Davvero, non sono pochi e, in un tempo più vicino
di ciò che ci si aspetta, ci sarà una voragine nelle strutture ospedaliere
nazionali, tanto che saremo costretti a importare medici e chirurghi, come ha
fatto l’Inghilterra negli ultimi decenni, e troveremo indiani, cinesi,
giapponesi a coprire i primariati (tanto in Italia non siamo nemmeno xenofobi),
perché forti di una preparazione che i nostri medici non hanno ricevuto e di
quella voragine di cui abbiamo parlato poc’anzi.
Per quali ragioni questa mancanza così grave nell’Università
Italiana?Io posso parlare per la mia disciplina, la
chirurgia.Tralasciando l’aspetto economico che poco influisce
sulla formazione specialistica (mentre ben diverso sarebbe parlare di
specialisti chirurghi con il salariato più basso rispetto al resto dei chirurghi europei), la carenza sostanziale è da ricercare nella visione che i “maestri”
italiani hanno nei confronti della formazione. Lo
specializzando in chirurgia non tocca bisturi se non per grazia ricevuta e,
comunque, mai per interventi che vanno oltre la media chirurgia. Come già detto
anche qui le eccezioni non mancano e si possono citare esempi d’isole felici
che agli occhi dei più appaiono come il paese delle meraviglie mentre, spostandosi
di qualche km dal confine italiano, è la semplice routine.Partiamo dal presupposto che prima o poi uno deve
iniziare a operare. Ecco, se già siamo d’accordo su questo appare scontato come
prima o poi, sia che uno abbia 26 anni sia che ne abbia 50, ci si troverà
davanti ad un paziente che dovrà essere operato da un chirurgo alle prime armi.Ora, il resto delle scuole europee punta sul
giovane, che, attraverso protocolli ben stabiliti e propedeuticità da
raggiungere step by step, finisce il percorso di formazione specialistica con
le competenze e le abilità tali da definirsi un chirurgo. Esce dalla scuola e
sa operare, e dovrà fare ancora esperienza certo, ma sa fare il suo lavoro. Il
neospecialista inglese che esce dalla scuola di specializzazione è almeno 15
anni avanti rispetto ad un dirigente medico italiano che non abbia
esperienza estera o non sia vissuto in una delle poche isole felici già citate.
E difatti in diverse strutture inglesi i dirigenti di II livello non esistono
perché non servono, il loro lavoro lo fanno gli specializzandi.Un altro aspetto da tenere in considerazione è di
tipo etico, se così si può dire; i reparti Universitari hanno naturalmente le
sovvenzioni adeguate per poter svolgere il loro compito formativo. I professori
sono pagati per insegnare la chirurgia in tutti i suoi aspetti, non ultimo
quello pratico. Il neo specializzato italiano esce dalla scuola di
specializzazione che non sa operare, e lo stato ha pagato per formarlo senza
risultato. Ed anche il neospecialista ha pagato le tasse universitarie per
ricevere una formazione che non ha ricevuto. A quel punto, il nostro
protagonista, si trova a dover cercare lavoro.Immaginate un pianista che esce dal Conservatorio
dopo 6 anni di corsi intensivi di teoria musicale, di storia della musica, di
solfeggio, di ritmica, di teoria dell’improvvisazione, ma che ha imparato a
suonare solo Fra Martino Campanaro; quale teatro, quale orchestra potrebbe mai
assumerlo?Quindi il neospecialista italiano in chirurgia si
trova a dover cercare lavoro nei vari ospedali, spacciandosi per chirurgo pur
non essendolo. Quando gli va bene viene assunto da una struttura ospedaliera
che si ritrova ad avere un’unità da dover formare, senza ricevere nessuna
sovvenzione statale (come riceve invece l’Università) ma addirittura dovendolo
pagare. Quando si dice avere il senso degli affari!Il problema è stato analizzato, per quanto in
maniera abbastanza sintetica ma, credo, efficace.Le soluzioni?Beh, le soluzioni non possono prescindere da una
totale rifondazione delle scuole di specializzazione, a partire dalla mentalità
e dall’idea che bisogna avere circa il concetto stesso di formazione.Di non poca rilevanza è la completa dissonanza che
si ritrova tra una struttura ospedaliera ed una Universitaria. Due mondi
opposti, due modi antitetici di trattare gli stessi argomenti. Il reparto
ospedaliero si dimostra tutt’oggi come il miglior centro di formazione per i
medici in formazione specialistica; i chirurghi ospedalieri si prendono in
carico lo specializzando introducendolo pian piano alla disciplina chirurgica,
soprattutto dal punto di vista pratico. E questo discorso vale anche per gli
altri campi.
Non secondario l’ambiente di lavoro stesso delle
strutture ospedaliere, con rispetto reciproco tra colleghi di generazioni
diverse, ben lontano dalle gerarchie Universitarie, dalla testa bassa ed
orecchie abbassate davanti ad un direttore o dirigenti strutturati che non
mostrano il minimo rispetto (sempre con le dovute eccezioni).In Inghilterra gli specializzandi in chirurgia
devono annotare su un database personale tutti gli interventi che fanno, tutti
gli step completati, tutte le propedeuticità raggiunte. Ogni tot mesi
l’Università manda gli ispettori nelle strutture ed i direttori sono tenuti a
mostrare i risultati raggiunti dai propri specializzandi. Se questi risultati
non corrispondono a quelli previsti gli specializzandi vengono sottratti a
quella struttura ed assegnati ad un’altra.In Italia il contratto degli specializzandi prevede
lo stesso il raggiungimento di determinati obiettivi.Compito di verificare
dello standard di attività assistenziali dei medici in formazione specialistica
è attribuito all’Osservatorio regionale sulla Formazione Specialistica, previsto dall'art. 44 del d.lgs n.
368/1999, ed istituito nella Regione Sardegna nel settembre 2007 con delibera
della Giunta.
L'istituzione dell'osservatorio ha
rappresentato un significativo passo in avanti per quanto concerne
l'organizzazione e la razionalizzazione della formazione medica, ma subito dopo
la sua creazione e nonostante le ripetute richieste di convocazione dei
rappresentanti dei medici in formazione specialistica tale organismo non è più
stato convocato, lasciando inascoltate e irrisolte le problematiche legate alla
formazione specialistica medica post-lauream.Le varie università quindi, permettendo di
concludere il percorso formativo, commettono un reato con falso in atto
pubblico.E’ compito dei Consigli delle Scuole di
Specializzazione individuare le strutture nelle quali deve essere svolta
l’attività formativa. L’insieme delle strutture universitarie,
ospedaliere e territoriali coinvolte nella formazione per ciascuna
Scuola di Specializzazione, accreditate o da accreditare secondo gli standard
definiti dal Decreto 29 marzo 2006, costituisce la “rete formativa”. La rete
formativa deve essere definita in base alle esigenze didattiche della Scuola
secondo quanto previsto dal D.M. 1.8.2005 ed i volumi complessivi di attività
devono garantire a tutti i medici in formazione specialistica gli atti clinici
prescritti per il conseguimento del titolo.
Ad oggi non risultano coinvolte in maniera adeguata
le strutture ospedaliere e territoriali. Risulta invece da una recente verifica
che i più del 95% dei medici in Formazione Specialistica dell’Area Chirurgica
sono residenti nelle Unità Operative Universitarie dove svolgono
prevalentemente attività clinica e non hanno modo di raggiungere il numero
degli atti assistenziali che, nei singoli anni di corso devono essere
assicurati per il completamento dell’iter formativo.Basterebbero controlli rigidi, accorpamento delle
strutture ospedaliere nella rete formativa e forse avremmo risolto già buona
parte dei problemi.Le strutture ospedaliere sono oggi all’avanguardia
e sono pronte ad accogliere ed a partecipare attivamente al percorso formativo
dei giovani colleghi.