domenica 28 aprile 2013

Le ferite del cuore



Non che avesse mai giocato con il suo cuore. Voglio dire, l'aveva utilizzato come tutti alla sua età, l'aveva messo nelle mani giuste, o che pensava esser tali, e nelle mani sbagliate. 
Quando metti il tuo cuore nelle mani di qualcuno dovresti sempre assicurarti che venga trattato come merita. 
Il suo era sempre passato per mani delicate ma aveva comunque nel tempo collezionato le proprie ferite e cicatrici.

Aveva un fratello che studiava medicina ed un giorno lo sentí ripetere ad alta voce; 

beh le ferite hanno diversi modi per guarire e la cicatrice passa per vari stadi; all'inizio è fresca, una ferita appena inflitta, la sua guarigione richiede cure, pazienza, attenzione, tempo...
Quando guarisce residua la cicatrice e questa può essere una bella cicatrice, lineare, si dice ben consolidata ecco, o qualcosa del genere. Oppure può rimanere una cicatrice brutta, grossa, che tecnicamente chiamano ipertrofica se non sbaglio, o addirittura cheloide (già parola di per se cacofonica oserei dire) che é quando il tessuto che ripara la ferita sconfina dai margini di questa, insomma, una cosa brutta.
Ecco, il suo cuore aveva perso pezzi durante gli anni passati, e quando perdi pezzi non esiste negozio o persona al mondo che possa sostituirli. 
Sono ferite, sono cicatrici che rimango li, alcune sono ben consolidate, altre cambiano completamente l'aspetto del cuore, perché la guarigione non è andata come doveva andare, ed ora sono li, come segni indelebili che il tempo non può cancellare.
Il cuore senza i suoi pezzi ricomincerá a lavorare in ogni caso, avrà ancora voglia di concedersi, ma basterà guardarsi allo specchio per ricordare che é facile farsi male, per ricordare che il tempo guarisce le ferite ma non ne cancella i segni, per ricordare che in ogni caso, prima o poi, i battiti torneranno quelli di prima.

venerdì 8 febbraio 2013

Di chirurgia, orchi e fate. Ma non è una fiaba.


Ve lo dico dall’inizio, così che mettiamo da subito in chiaro il nocciolo della questione e ci evitiamo spiacevoli sorprese da mancanza di lieto fine; il futuro della medicina e della chirurgia nel nostro paese, per come stanno le cose oggi, non è dei più rosei, anzi. Sta per chiudersi un ciclo, sta per tramontare una generazione di scienziati, di medici, di chirurghi, di universitari che, fatta qualche rara eccezione, hanno preso tanto dai maestri del passato ma, ahimè, non hanno lasciato nulla ai posteri, non sono riusciti a trasmettere (o non hanno voluto) l’arte della loro disciplina.I neolaureati e i neospecialisti hanno osservato questa lenta decadenza per diversi anni, hanno assistito allo sfascio, all’involuzione della pratica medica, la progressiva perdita delle risorse che hanno fatto grande il nostro paese negli anni passati.Da qualche anno tuttavia qualcosa sta cambiando, ma nel verso sbagliato. Quei neolaureati e neospecialisti stanno perdendo fiducia nel modello italiano e, come dargli torto, stanno emigrando.
Basta fare un giro nei più comuni social network per imbattersi in gruppo come “Doctors in fuga” con oltre 2800 iscritti, o “medici italiani nel mondo” con più di 1100 iscritti, e la stragrande maggioranza di giovane età.Davvero, non sono pochi e, in un tempo più vicino di ciò che ci si aspetta, ci sarà una voragine nelle strutture ospedaliere nazionali, tanto che saremo costretti a importare medici e chirurghi, come ha fatto l’Inghilterra negli ultimi decenni, e troveremo indiani, cinesi, giapponesi a coprire i primariati (tanto in Italia non siamo nemmeno xenofobi), perché forti di una preparazione che i nostri medici non hanno ricevuto e di quella voragine di cui abbiamo parlato poc’anzi.
Per quali ragioni questa mancanza così grave nell’Università Italiana?Io posso parlare per la mia disciplina, la chirurgia.Tralasciando l’aspetto economico che poco influisce sulla formazione specialistica (mentre ben diverso sarebbe parlare di specialisti chirurghi con il salariato più basso rispetto al resto dei chirurghi europei), la carenza sostanziale è da ricercare nella visione che i “maestri” italiani hanno nei confronti della formazione. Lo specializzando in chirurgia non tocca bisturi se non per grazia ricevuta e, comunque, mai per interventi che vanno oltre la media chirurgia. Come già detto anche qui le eccezioni non mancano e si possono citare esempi d’isole felici che agli occhi dei più appaiono come il paese delle meraviglie mentre, spostandosi di qualche km dal confine italiano, è la semplice routine.Partiamo dal presupposto che prima o poi uno deve iniziare a operare. Ecco, se già siamo d’accordo su questo appare scontato come prima o poi, sia che uno abbia 26 anni sia che ne abbia 50, ci si troverà davanti ad un paziente che dovrà essere operato da un chirurgo alle prime armi.Ora, il resto delle scuole europee punta sul giovane, che, attraverso protocolli ben stabiliti e propedeuticità da raggiungere step by step, finisce il percorso di formazione specialistica con le competenze e le abilità tali da definirsi un chirurgo. Esce dalla scuola e sa operare, e dovrà fare ancora esperienza certo, ma sa fare il suo lavoro. Il neospecialista inglese che esce dalla scuola di specializzazione è almeno 15 anni avanti rispetto ad un dirigente medico italiano che non abbia esperienza estera o non sia vissuto in una delle poche isole felici già citate. E difatti in diverse strutture inglesi i dirigenti di II livello non esistono perché non servono, il loro lavoro lo fanno gli specializzandi.Un altro aspetto da tenere in considerazione è di tipo etico, se così si può dire; i reparti Universitari hanno naturalmente le sovvenzioni adeguate per poter svolgere il loro compito formativo. I professori sono pagati per insegnare la chirurgia in tutti i suoi aspetti, non ultimo quello pratico. Il neo specializzato italiano esce dalla scuola di specializzazione che non sa operare, e lo stato ha pagato per formarlo senza risultato. Ed anche il neospecialista ha pagato le tasse universitarie per ricevere una formazione che non ha ricevuto. A quel punto, il nostro protagonista, si trova a dover cercare lavoro.Immaginate un pianista che esce dal Conservatorio dopo 6 anni di corsi intensivi di teoria musicale, di storia della musica, di solfeggio, di ritmica, di teoria dell’improvvisazione, ma che ha imparato a suonare solo Fra Martino Campanaro; quale teatro, quale orchestra potrebbe mai assumerlo?Quindi il neospecialista italiano in chirurgia si trova a dover cercare lavoro nei vari ospedali, spacciandosi per chirurgo pur non essendolo. Quando gli va bene viene assunto da una struttura ospedaliera che si ritrova ad avere un’unità da dover formare, senza ricevere nessuna sovvenzione statale (come riceve invece l’Università) ma addirittura dovendolo pagare. Quando si dice avere il senso degli affari!Il problema è stato analizzato, per quanto in maniera abbastanza sintetica ma, credo, efficace.Le soluzioni?Beh, le soluzioni non possono prescindere da una totale rifondazione delle scuole di specializzazione, a partire dalla mentalità e dall’idea che bisogna avere circa il concetto stesso di formazione.Di non poca rilevanza è la completa dissonanza che si ritrova tra una struttura ospedaliera ed una Universitaria. Due mondi opposti, due modi antitetici di trattare gli stessi argomenti. Il reparto ospedaliero si dimostra tutt’oggi come il miglior centro di formazione per i medici in formazione specialistica; i chirurghi ospedalieri si prendono in carico lo specializzando introducendolo pian piano alla disciplina chirurgica, soprattutto dal punto di vista pratico. E questo discorso vale anche per gli altri campi.
Non secondario l’ambiente di lavoro stesso delle strutture ospedaliere, con rispetto reciproco tra colleghi di generazioni diverse, ben lontano dalle gerarchie Universitarie, dalla testa bassa ed orecchie abbassate davanti ad un direttore o dirigenti strutturati che non mostrano il minimo rispetto (sempre con le dovute eccezioni).In Inghilterra gli specializzandi in chirurgia devono annotare su un database personale tutti gli interventi che fanno, tutti gli step completati, tutte le propedeuticità raggiunte. Ogni tot mesi l’Università manda gli ispettori nelle strutture ed i direttori sono tenuti a mostrare i risultati raggiunti dai propri specializzandi. Se questi risultati non corrispondono a quelli previsti gli specializzandi vengono sottratti a quella struttura ed assegnati ad un’altra.In Italia il contratto degli specializzandi prevede lo stesso il raggiungimento di determinati obiettivi.Compito di verificare dello standard di attività assistenziali dei medici in formazione specialistica è attribuito all’Osservatorio regionale sulla Formazione Specialistica, previsto dall'art. 44 del d.lgs n. 368/1999, ed istituito nella Regione Sardegna nel settembre 2007 con delibera della Giunta.
L'istituzione dell'osservatorio ha rappresentato un significativo passo in avanti per quanto concerne l'organizzazione e la razionalizzazione della formazione medica, ma subito dopo la sua creazione e nonostante le ripetute richieste di convocazione dei rappresentanti dei medici in formazione specialistica tale organismo non è più stato convocato, lasciando inascoltate e irrisolte le problematiche legate alla formazione specialistica medica post-lauream.Le varie università quindi, permettendo di concludere il percorso formativo, commettono un reato con falso in atto pubblico.E’ compito dei Consigli delle Scuole di Specializzazione individuare le strutture nelle quali deve essere svolta l’attività formativa. L’insieme delle strutture universitarie, ospedaliere e territoriali coinvolte nella formazione per ciascuna Scuola di Specializzazione, accreditate o da accreditare secondo gli standard definiti dal Decreto 29 marzo 2006, costituisce la “rete formativa”. La rete formativa deve essere definita in base alle esigenze didattiche della Scuola secondo quanto previsto dal D.M. 1.8.2005 ed i volumi complessivi di attività devono garantire a tutti i medici in formazione specialistica gli atti clinici prescritti per il conseguimento del titolo.
Ad oggi non risultano coinvolte in maniera adeguata le strutture ospedaliere e territoriali. Risulta invece da una recente verifica che i più del 95% dei medici in Formazione Specialistica dell’Area Chirurgica sono residenti nelle Unità Operative Universitarie dove svolgono prevalentemente attività clinica e non hanno modo di raggiungere il numero degli atti assistenziali che, nei singoli anni di corso devono essere assicurati per il completamento dell’iter formativo.Basterebbero controlli rigidi, accorpamento delle strutture ospedaliere nella rete formativa e forse avremmo risolto già buona parte dei problemi.Le strutture ospedaliere sono oggi all’avanguardia e sono pronte ad accogliere ed a partecipare attivamente al percorso formativo dei giovani colleghi.